LA GUERRA DI RELIGIONE AGLI INCENTIVI

Bluerating | Marzo 2023

Massimo Doris ha avuto il coraggio di dirlo pubblicamente e in modo chiaro come nel suo stile: la guerra agli incentivi è una guerra di religione. Peraltro quasi tutta l’industria della consulenza finanziaria, del banking e dell’asset management, nella sostanza, la pensa come lui, come emerge dalle molte prese di posizione ufficiali.

Da quando la commissaria europea per i servizi finanziari la irlandese Mairead McGuinness è entrata a gamba tesa sul tema delicatissimo degli inducement il dibattito si è infatti acceso a tutti i livelli e non solo in Italia.

Non si tratta certamente di un fulmine a ciel sereno, è assai ricorrente infatti che a fine mandato, qualche politico più o meno inconsciamente, cerchi un po’ di visibilità per il proseguo della propria carriera.

Sparare sulle banche e sul mondo della finanza per acquisire consensi e visibilità popolare è prassi ricorrente tra i politici soprattutto tra quelli con una forte vocazione populista.

Al di là delle considerazione sui politici, che, forse ancora prima dei banchieri e dei finanzieri, sono – a torto o a ragione – la categoria più bistrattata, vi sono alcune considerazioni che corre l’obbligo di condividere.

La prima è che la Comunità Europea è un condominio dove hanno scelto di convivere nazioni molto diverse tra loro, per storia, cultura e soprattutto maturità finanziaria. Si tratta certamente di una scelta giusta e obbligata, testimoniata dalla quasi scomparsa degli euroscettici e dagli effetti della Brexit sugli inglesi.

Il solo fatto che sui temi che attengono la finanza e il mercato dei capitali, paesi come il Belgio, l’Irlanda e il Regno Unito vengano accomunati a Germania, Francia Italia, la dice lunga sulla impossibilità di trovare una soluzione che accontenti tutti.

Da appassionati osservatori del mercato rileviamo che sul tema si stanno formando tre fazioni: i talebani, gli avvoltoi e gli analitici. 

Il “talebano” è persona rigida, poco disponibile a trattare, giustizialista, convinta religiosamente di essere dalla parte della ragione.

I talebani sono presenti in entrambi gli schieramenti – pro e contro incentivi – anche se in proporzioni differenti: l’85% è presente nel fronte di chi è contro gli incentivi.

Chi è contro gli incentivi e l’attuale sistema distributivo dei prodotti finanziari vigente nel nostro Paese non è quasi mai – con qualche eccezione – protagonista dell’attuale sistema, occupando nicchie di mercato che stentano a decollare.

I più agguerriti tra i “talebani” rischiano poi di essere percepiti come “avvoltoi”. Il termine apparentemente carico di connotazioni negative non è che lo specchio della natura dove il leone, re della foresta, convive con le iene e gli avvoltoi.

In natura come in politica ogni ecosistema si basa fortunatamente sulla convivenza di razze diverse ognuna con una sua funzione.

Quindi ben vengano gli “avvoltoi” anche quando, in modo a volte forse un po’ spudorato e avventato, suonano le campane a morto della consulenza finanziaria italiana, che, numeri alla mano, ha certamente più pregi che difetti.    

Gli “analitici”, numericamente più presenti nella fazione pro-incentivi, hanno invece un pregio, quello di analizzare – appunto – il mercato, i possibili scenari, studiando quanto successo in altri paesi.

Costoro propugnano il confronto sui numeri, si attengono ai dati e sono pronti al dialogo, non temono la coesistenza di modelli di servizio differenti – con e senza incentivi – affidandosi al libero mercato.

Certamente non sta a noi tifare per l’una o l’altra fazione, nella certezza che ci sarà spazio per tutti e soprattutto nella speranza che l’ultima parola spetterà al vero sovrano: il mercato.  

Nicola Ronchetti