CACCIA AI CLIENTI IMPRENDITORI

Advisor | Settembre 2022

In Italia il 75% degli individui più patrimonializzati – private o HNWI – deve la propria fortuna a un’attività imprenditoriale, il 34% ha un ruolo operativo nella propria impresa, il 17% se l’è venduta.

L’età media degli imprenditori italiani è di 68 anni e cresce di anno in anno: in dieci anni gli imprenditori con meno di 40 anni (9%) si sono ridotti del 3% mentre quelli con più di 70 anni (31%) è aumentato del 2%.

Reti dei consulenti finanziari e banche fanno a gara per conquistare il cuore degli imprenditori sia perché sono ricchi e anziani, sia perché per mentalità sono più sensibili a servizi ad alto valore aggiunto.

Successioni, operazioni di finanza straordinaria, fusioni, acquisizioni, cessione di quote, sbarco in borsa, club deal e investimenti in private equity e debt, assicurano margini superiori alle attività più ricorrenti.

In questo quadro, le banche si differenziano dalle reti per la capacità di servire i clienti imprenditori anche nelle attività di finanziamento alle loro imprese, che pur assorbendo capitale fidelizzano il cliente e – se ben gestite – sono remunerative.

Ma quanto un cliente imprenditore desidera avere lo stesso referente sia per la gestione della propria azienda che per la propria posizione individuale?

Da una ricerca realizzata da FINER su un campione di oltre cento imprenditori emerge che per le aziende piccole l’imprenditore, di norma, preferisce tenere separate la sfera aziendale da quella individuale.

Viceversa tanto più l’azienda è grande tanto più un soggetto unico – anche se con differenti referenti e competenze – è bene accetto.

Servire un cliente imprenditore sui due fronti – impresa e individuale – richiede un gioco di squadra all’interno delle banche che non è semplicissimo da realizzare.

Idealmente si dovrebbero creare dei team composti da un gestore corporate e da un private banker. Ci sono però alcune barriere.

La prima è culturale: il gestore corporate è abituato, soprattutto in passato, a essere cercato dal cliente che, spesso, chiede soldi alla banca.

Il private banker invece al cliente i soldi (da investire) li deve chiedere e non darli: la differenza sembra banale ma non lo è per niente.

Un’altra barriera alle sinergie è il tema della titolarità del cliente e la paura di perdere il “mio” cliente.

Per il private banker le preoccupazioni sono soprattutto legate al rifiuto della banca di erogare un finanziamento all’impresa del “suo” cliente, di farlo a condizioni non competitive o ancora, cosa molto più frequente, a tempi e lungaggini burocratiche che ne abbattono la soddisfazione e logorano la relazione.

Sull’altro fronte il gestore corporate potrebbe temere che un investimento non andato a buon fine possa minare una relazione consolidata.

Periodicamente il tema delle sinergie tra banca d’impresa e private viene affrontato invocando economie di scala chiarissime sulla carta, molto più complesse da realizzare, perché basate su figure professionali con mind set differenti.

Alcune banche hanno scelto di enfatizzare anche nel nome la strategia di essere banca al servizio di imprenditori, altre lo fanno più in sordina da anni.

In ogni caso il tema è di grande attualità, sia per l’aumento dei tassi dei crediti, per la marginalità delle operazioni straordinarie e per la progressiva erosione dei margini legati agli investimenti e alla attività ricorrenti.

Insomma un bel rebus, forse è anche per questo che la maggior parte delle reti di consulenti finanziari – per ora – si tiene lontano dalle attività di credito alle imprese, mentre si tiene stretti gli imprenditori.

Nicola Ronchetti