La flat tax per paperoni

Un’occasione da non lasciarsi sfuggire

Sopratutto per i nostri private banker e consulenti finanziari

Per ora sono solo 160 i “paperoni” che stanno puntando sull’Italia come lido per fare approdare il loro patrimonio o parte di esso grazie alla “flat tax” da 100 mila euro sancita con la legge di Bilancio del 2017.

Si tratta di una vera e propria tassa “acchiappa ricchi” pensata per attirare in Italia chi ha grandi disponibilità, pagando un’imposta da 100 mila euro l’anno, fissa e a prescindere dal livello di reddito.

Primi effetti della Brexit? Parrebbe di sì, tanto che ha intercettato in particolare l’interesse dei residenti in Gran Bretagna come risposta alle dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Tra i 160 c’è anche qualche italiano, residente a Londra che desidera rientrare in Italia. Proprio dalla Gran Bretagna, secondo le elaborazioni che circolano al ministero dell’Economia, sono arrivate 55 domande. Una su tre. Al secondo posto, con 30 domande, c’è la Svizzera, seguita dalla Francia con 23. Il grosso arriva da questi tre Paesi. Poi ci sono, in ordine decrescente e con numeri contenuti, Belgio, Spagna, Stati Uniti, Germania e Singapore.

Si tratta di una imposta sostitutiva per i nuovi residenti perché prende il posto non solo delle tasse molto più alte che chi trasloca dovrebbe pagare in Italia, ma anche delle imposte dovute nel Paese di provenienza. Per fare richiesta è necessario essere residenti da almeno nove anni in un Paese straniero. La nazionalità, invece, non conta: possono farsi avanti stranieri che vogliono venire a vivere in Italia ma anche italiani che hanno deciso di tornare nel nostro Paese. E forse è proprio questo il motivo che ha spinto ai primi posti della classifica i due paesi confinanti, Svizzera e Francia. Anche se i nomi sono coperti da privacy.

Il vantaggio per l’Italia non sta tanto nell’incasso dell’imposta in sé: anche se tutte le 160 domande dovessero andare a buon fine, il gettito aggiuntivo sarebbe di 16 milioni di euro. Conterebbe di più l’indotto, e cioè l’alta propensione alla spesa dei super ricchi in arrivo. Ci sarebbe una spinta ai consumi, soprattutto per i beni di lusso, con effetti positivi sulla nostra economia. E crescerebbe così anche l’Iva incassata dallo Stato. Di fatto la tassa “acchiappa ricchi” è una risposta a quanto già fatto da altri Paesi, come il Portogallo, che ha azzerato le tasse per dieci anni ai pensionati stranieri che si trasferiscono lì. Chi viene in Italia non ha nessuno obbligo di avviare un’attività economica. Può venire a godersi la vita. Perché con il sole, il mare, l’arte e la cucina, il nostro Paese resta un paradiso. Anche fiscale, per chi viene da fuori.

Ma il vantaggio più grande potrebbe essere per i nostri consulenti finanziari e private banker top, abituati cioè a gestire clienti con patrimoni importanti. Se è vero che il mercato del Private Banking vale in Italia circa 800 miliardi di euro (di cui quasi il 40% in capo alle reti dei consulenti finanziari), altrettanto è vero che il potenziale del mercato è grande ma non infinito per la clientela HNWI o UHNWI.

Quando pensiamo ai clienti HNWI e UHNWI, il bacino di clienti si restringe e contemporaneamente aumentano gli operatori attraenti per questo segmento: alle banche private si affiancano consulenti indipendenti, family office ed altri professionisti esperti di fisco, successioni o trust.

Detto questo l’opportunità di “importare” clienti o di “esportare” competenze italiane nella gestione dei grandi patrimoni è unica e va assolutamente concretizzata.

Per anni abbiamo guardato con invidia alcuni paesi che attraevano capitali privati non solo per ragioni fiscali ma anche e soprattutto per la professionalità dei private banker e per l’elevato livello di servizio.

Ora abbiamo questa possibilità e non possiamo limitarci ad attrarre poche decine di paperoni. Ed infatti le banche nostrane più lungimiranti hanno aperto sedi operative, ad esempio a Londra, per intercettare quella parte di clienti italiani e non che dopo tanti anni in UK hanno deciso di tornare in patria e non solo per ragioni di cuore.

D’altronde che la capacità dei banker e la qualità del servizio sia l’unico e vero driver in grado di attrarre capitali e clienti è dimostrato da quello che è successo a pochi chilometri dall’Italia. A Lugano, crollato dopo anni il segreto bancario svizzero, centinaia di banker si sono trovati senza la maggior parte dei clienti e, non pochi, senza lavoro. Il motivo? Oltre a ragioni fiscali, evidentemente il servizio erogato non era all’altezza ed in grado di fidelizzare un tipo di clientela che potremmo chiamare “captive” e che arrivava senza che nessuno si scomodasse dalla propria sedia o alzasse la cornetta del telefono. 

E poiché tra le molte dote italiche (empatia, capacità di relazione, capacità di ascoltare e di fare sentire a proprio agio i clienti attuali e potenziali), ai nostri private banker e consulenti finanziari, non fa certamente difetto la mentalità imprenditoriale, ecco che l’occasione di proporsi come valida alternativa ai banker inglesi, svizzeri e francesi è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

Nicola Ronchetti