Le competenze più richieste alla consulenza finanziaria si sintetizzano nelle capacità di parlare a quattro generazioni e di fare rete. Un’evoluzione testimoniata dai dati Finer, che raccontano come sia cambiato il profilo del professionista del risparmio
We Wealth | Settembre 2025
I consulenti finanziari hanno smesso di essere venditori “alla vecchia maniera”, ma sono professionisti consapevoli, empatici, capaci di dialogare con almeno quattro generazioni: dagli ultraottantenni fino ai ventenni. Una platea multiforme che siede ogni giorno al tavolo della consulenza e che richiede, più di ogni altra cosa, soft skill.
«Oggi il valore di un consulente o di un gestore bancario si misura prima di tutto sulla capacità di entrare in empatia con i clienti, parlare il loro linguaggio, interpretarne i bisogni. Questo vale per il private banking ma anche per la banca commerciale», afferma Nicola Ronchetti, fondatore e CEO di Finer, società di ricerca specializzata nel mondo del wealth management, delle reti e della consulenza finanziaria. «Le soft skill – prosegue – sono diventate imprescindibili anche per gli istituti di credito: non si tratta più solo di competenze tecniche, ma di sapere come relazionarsi, comunicare, collaborare».
Attaccanti, centrocampisti e difensori
Fino a vent’anni fa, il consulente ideale era un “attaccante”: proattivo, spinto alla conquista del cliente, autonomo. Oggi, il mondo della consulenza si è evoluto in una direzione molto più equilibrata. I dati raccolti da Finer lo dimostrano chiaramente: nel 2003 il 93% dei consulenti erano attaccanti, il 4% centrocampisti e il 3% difensori. Nel 2024, la distribuzione è molto più bilanciata: 48% attaccanti, 42% centrocampisti e 10% difensori.
«È un’evoluzione che riflette un cambio culturale profondo – spiega Ronchetti –. Abbiamo mutuato questa classificazione dal calcio, dove ogni ruolo ha una funzione strategica: l’attaccante è colui che va a caccia di clienti, interagendo con tutta la famiglia, dal nonno al nipote. Il difensore è più introverso, meno proattivo ma molto affidabile nella gestione. Il centrocampista è una figura manageriale, capace di visione e coordinamento. Oggi la consulenza è una squadra, e la squadra funziona solo se i ruoli sono ben distribuiti».
L’era della collaborazione
Proprio la capacità di fare squadra rappresenta un altro pilastro del nuovo profilo del consulente vincente. «Non si lavora più come battitori liberi – sottolinea Ronchetti –. Il professionista deve sentirsi parte di un sistema, riconoscendo alla banca mandante e alla rete il ruolo di fornire strumenti e supporto». Un cambiamento radicale, confermato dai numeri: nel 2005 solo il 10% dei consulenti riteneva importante il supporto della banca; nel 2024 questa percentuale è salita al 59%.
«È la dimostrazione – continua – che è avvenuto un vero salto culturale. Chi oggi non riesce a dialogare con più generazioni, né a collaborare con i colleghi o con la propria banca, difficilmente potrà giocare un ruolo da protagonista nel settore».
Anche le banche cambiano passo
La trasformazione non riguarda solo le reti di consulenti. Anche le banche commerciali stanno compiendo un’importante evoluzione. «Assistiamo a un rafforzamento delle soft skill anche all’interno delle filiali – dice Ronchetti –. Le banche stanno lavorando molto per trasformare il gestore “pivot” in una figura sempre più supportata e integrata in un sistema, dotandolo degli strumenti necessari, anche per lavorare fuori sede». La formazione è la chiave di questa rivoluzione silenziosa. «Oggi le banche e le reti hanno vere e proprie academy interne, centri di studio e contenuti pensati per formare non solo i giovani, ma anche i nuovi “vecchi”: i sessantenni e perfino gli ottantacinquenni sono un universo da esplorare, un’opportunità da saper cogliere».
L’uomo al centro, nonostante il digitale
E in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale e il digitale sembrano destinati a occupare ogni spazio, la figura del consulente umano non solo resiste, ma si rafforza. «Anche osservando i nuovi modelli – dalle challenger bank come Tinaba e Revolut fino alle piattaforme di gestione come Moneyfarm – ci accorgiamo che il vero punto debole resta la relazione, l’empatia, la personalizzazione. L’uomo resta centrale, oggi più che mai», conclude Ronchetti. I consulenti, nel frattempo, hanno compreso che affinare le soft skill non è più un’opzione, ma una condizione necessaria per restare rilevanti. Perché in un mondo che cambia così in fretta, serve molto più di una buona competenza tecnica: serve saper giocare in squadra, saper parlare con tutti e, soprattutto, saper ascoltare.
Laura Magna