BANCA ASSICURAZIONE

Insurance Review | Settembre 2023

Il mercato della banca assicurazione sta vivendo profondi cambiamenti, partendo dai dati di raccolta si possono individuare, alcuni punti di forza, di debolezza ma anche molte opportunità per banche e compagnie.

Vi sono però anche, immancabilmente, alcuni rischi derivanti soprattutto dalla scarsa proattività, accuratezza e precisione dell’offerta, accompagnata da un debito di fiducia in parte ancora da saldare.

Crollo dei prodotti vita causa concorrenza BTP e vendita impropria

La raccolta del ramo vita si è ridotta del -11% rispetto al 2021 e avviene per il 56,9% tramite sportelli bancari e postali, il 26,1% tramite agenzie e il 15% tramite promotori.

La raccolta netta dei premi vita (premi meno pagamenti per riscatti, scadenze, rendite e sinistri) è costantemente in calo negli ultimi anni, passando dai 43,7 miliardi di euro del 2014 ai 15,4 miliardi del 2022.

Andando avanti di questo passo nel giro di qualche anno il comparto potrebbe subire danni irreparabili, tuttavia uno scenario in cui lo stock delle polizze vita crollasse non è ovviamente pensabile per due ordini di motivi.

Il primo è che le compagnie assicurative, per quanto caratterizzate da minore dinamismo rispetto ad altri settori (pensiamo a quello della consulenza finanziaria) si stanno già muovendo per creare e lanciare nuovi e più attraenti prodotti vita per i risparmiatori.

Le compagnie stanno creando nuove gestioni separate di Ramo I con tassi più elevati, ma con penali per l’uscita anticipata, e cercando di trattenere i clienti sulle vecchie polizze, spiegando che incorporeranno i nuovi Btp al 4%.

Il secondo motivo è che prima o poi cambierà lo scenario dei tassi e dei mercati, che hanno influenzato entrambi negativamente la vendita di polizze vita.

Il vero problema del ramo vita è da ricondurre all’improvvisa impennata dei tassi, che ha reso poco efficienti e convenienti le polizze “rivalutabili” (Ramo I), che rappresentano la maggioranza.

La crisi delle polizze vita non ha riguardato soltanto le compagnie ma ha investito anche le banche e le reti di consulenti finanziari che si sono ritrovare a gestire molte richieste dì riscatto.

Come evidenziato nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato da Banca d’Italia i consulenti finanziari e le banche sono infatti le principali vittime della fuga dalle polizze vita che si sta registrando da inizio anno.

Vi è certamente una difficoltà dal lato dell’offerta, nel non essere riuscita a spiegare la differenza tra un investimento finanziario e una polizza vita.

Un contraente con famiglia dovrebbe valutare questo dettaglio.

Le polizze ramo primo – ad esempio – con gestione separata dei premi periodici versati consente ai familiari del sottoscrittore, in caso di decesso, di mantenere il loro stile di vita.

Questo tipo di polizza è ideale per le famiglie monoreddito, per chi ha sottoscritto un mutuo sulla casa o ha figli piccoli a carico, questa polizza è utile anche per le aziende.

È infatti possibile assicurare una persona che ricopre un ruolo di fondamentale importanza per il corretto funzionamento dell’attività.

Come tutti i prodotti assicurativi vanno compresi, spiegati e offerti a chi ne può cogliere tutte le opportunità.

La sensazione è che, in molti casi, queste polizze siano state vendute e sottoscritte solo per quello che era ritenuto un rendimento soddisfacente a fronte di un capitale garantito.

Fare trading con questi prodotti, ovverossia comprarli e venderli, in modo opportunistico sulla base dei rendimenti vuol dire non aver compreso la loro vera natura.

L’orizzonte temporale, la composizione del nucleo famigliare, la situazione finanziaria della famiglia, sono elementi imprescindibili per una corretta compravendita delle polizze vita.

Spiace vedere il comparto più proattivo e dinamico come quello dei consulenti finanziari e delle banche soffrire su questo fronte.

Potremmo dire che chi ha seminato solo rendimenti inevitabilmente sta raccogliendo solo riscatti. Viceversa, chi, e sono in molti, ha fatto bene il proprio lavoro, sa che la protezione è un’altra cosa.    

Impennata ramo danni sulle banche

La raccolta del ramo danni, che vale 35,7 miliardi, è in crescita del +4,6% rispetto all’anno precedente e avviene per il 76,7% tramite agenzie, il 9,7% tramite broker, l’8,6% tramite sportelli bancari e postali e il 4,6% tramite vendita diretta.

In percentuale del PIL, i premi dei rami vita sono il 4,9% e l’1,9% per i rami danni. L’Italia è il 7° paese OCSE per rilevanza del settore vita rispetto al PIL, ma solo il 25° per i premi danni (dati 2022 premi su PIL e 2021, confronto OCSE).

Il 42,6% riguarda polizze auto, il 20,1% assicurazioni su immobili, il 19,5% sulla salute e il 10,5% per copertura della R.C. generale.

Nel 2022 i canali postale e bancari italiani hanno raccolto l’8,6% dei premi totali danni contro il 7,8% del 2021, un’ascesa incredibile se si pensa che nel 2009 era avevano raccolto solo il 2,9% dei premi totali danni: banche e Poste insieme hanno triplicato le proprie quote di mercato.

Questa crescita può rappresentare sia il volano delle banche per lo sviluppo di ricavi nei prossimi anni, sia il metro per capire le dinamiche interne al comparto della bancassicurazione.

Basti pensare all’interesse suscitato da diverse compagnie, tra cui Crédit Agricole, Axa, Generali e Allianz, per il business assicurativo di Banco BPM, a Unipol fautore del polo BPER-Carige-Popolare di Sondrio, da Cassa Centrale Banca e ICREAA che, forti di migliaia di sportelli, preparano accordi con partner assicurativi per vendere polizze attraverso i propri canali distributivi, fino all’intesa UniCredit-Allianz di inizio 2022.

Anche il Gruppo Intesa Sanpaolo ha scommesso sul business assicurativo, la Divisione Insurance vale il 20% del business per il maggiore gruppo bancario italiano ed è cresciuta stabilmente negli ultimi otto anni, a un passo del 7% annuo.

Vedendo i numeri del comparto si può ben dire che l’obiettivo è stato in grande parte centrato anche se la strada da percorrere nel nostro paese è ancora lunga e irta di ostacoli come dimostra il nostro 25° posto tra i paesi OCSE nel ramo danni.

Proteggersi per investire

Per le banche il business assicurativo non è solo fonte di margini ma consente, se ben gestito, di rappresentare una leva per trasformare l’enorme massa di liquidità giacente sui conti correnti in risparmio gestito.

Gli italiani lasciano sui conti correnti quantità enormi di denaro, soprattutto per far fronte a eventuali necessità o bisogni in caso di emergenza.

Se analizziamo le possibili emergenze scopriamo che tutte sono coperte da assicurazioni: casa, incendio, furto, malattia, vita.

Eppure – salvo eccezioni – chi propone polizze assicurative disinnescando gli effetti negativi di un sinistro, difficilmente propone poi di investire quella parte di liquidità infruttifera accantonata in caso di bisogno.

Proporre protezione è un’attività agli antipodi rispetto alla proposizione di investimenti finanziari che hanno insito il concetto di rischio: rischio di perdita parziale o totale del capitale investito, rischio di non liquidabilità nei tempi e nei modi auspicabili dagli stessi sottoscrittori.

Pochi associano il rischio alla perdita del valore di acquisto diretta conseguenza dell’inflazione che ha ripreso a mordere da mesi in modo significativo.

In mercati ancora guidati dai professionisti le loro competenze e le loro attitudini commerciali sono quindi determinanti.

Così come è complesso che un gestore corporate, abituato a dare denaro, diventi un buon consulente finanziario, che il denaro deve chiederlo, ottenerlo e saperlo investire, così difficilmente un agente assicurativo si sentirà a suo agio nel proporre un investimento finanziario.

Può essere però vero il contrario, un buon gestore bancario o un buon consulente finanziario potrebbe usare il tema della protezione per disinnescare il timore di investire i propri risparmi e lasciarli in liquidità infruttifera.

In altre parole, in un mondo ideale e razionale, chi riesce a trasmettere al proprio cliente un senso di protezione da eventuali rischi per i quali tiene il denaro sul conto corrente, logicamente dovrebbe riuscire nell’arduo compito di convertire questo in risparmio gestito.

La realtà, sappiamo, è molto differente e le motivazioni sono molteplici. Ancora una volta, volendo semplificare potremmo dire che ci sono tre fattori che frenano i comportamenti più virtuosi.

Il primo fattore è correlato al rendimento e alle performance degli investimenti. Facciamo un esempio cosa dire a chi, con un’inflazione al 7%, ha investito i suoi risparmi che dopo sei mesi segnano un – 12% in conto capitale.

Se ha un orizzonte temporale corretto – ad esempio per un investimento azionario almeno cinque anni – non dovrebbe temere ma solo aspettare.

Il vero quesito è proprio questo, quanti hanno stabilito un orizzonte temporale al momento della sottoscrizione?

Il secondo fattore è correlato al costo dei prodotti e a come viene comunicato. Se si propone un investimento per la gestione della liquidità che ha un costo dell’1%, va spiegato quanto costerebbe non investire. 

Il terzo e ultimo fattore riguarda la fiducia, vero propulsore sia per le banche che per le assicurazioni. La fiducia si costruisce nel tempo e sulla base di esperienze positive, che non sempre ci sono.

Se sommiamo questi tre fattori – performance, costi e fiducia – scopriamo che il pallone è nella metà campo dell’offerta (banche e compagnie assicurative) e che solo i migliori faranno gol senza falli o fuori gioco.

Nicola Ronchetti