Banche e assicurazioni:

accomunate da un unico destino

Insurance Review | Aprile 2020

Le banche e le assicurazioni sono accomunate da un unico destino per almeno tre motivi: 1) trattano la stessa materia prima, la gestione del denaro e la sua protezione; 2) stanno subendo la maturità dei mercati in cui operano, e per uscire dal medioevo devono promuovere necessariamente la via di un nuovo rinascimento; 3) sono macchine complesse che hanno nella fiducia dei clienti il loro propulsore e nel sistema distributivo la loro cinghia di trasmissione.  

La fiducia. 

Per le banche la crisi reputazionale è partita dal fallimento di Lehman Brothers ed è culminato in Italia – ci auguriamo – con il caso della Banca Popolare di Bari preceduta dai casi MPS, Banca Etruria, Banche Venete, Carige, dalla vendita indiscriminata dei titoli Cirio, Parmalat, dei Bond argentini e più recentemente dei diamanti. 

Il risultato: 1.500 miliardi di Euro parcheggiati in liquidità che gli italiani non si fidano a dare in gestione alle banche e il 25% di italiani che investono il proprio risparmio contro il 50% del 2001. 

La scarsa cultura finanziaria degli italiani è un dato di fatto, ma anche il sistema bancario dovrebbe fare un po’ di sana autocritica: solo negli ultimi due anni, una minoranza (per fortuna) di sedicenti banchieri inadeguata e disonesta ha mandato in fumo 45 miliardi di risparmio privato. 

In finanza è noto che, come in natura, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce.  

Per le assicurazioni la situazione è simile. Gli italiani, si sa, sono un popolo cronicamente sotto assicurato, che mostra una forte predisposizione al possesso di beni immobili e liquidità, ciò nonostante l’elevato costo e la ridotta redditività di un patrimonio immobiliare che si è svalutato mediamente del 40% negli ultimi dieci anni.  

Le due passioni degli italiani – mattoni e denaro contante – tradiscono forse le nostre origini contadine e confermano che siamo un popolo molto concentrato sul presente e poco sul nostro futuro.  

Soffriamo infatti della sindrome di Peter Pan: amiamo vivere un’eterna fanciullezza, rifiutandoci di crescere, di assumerci responsabilità e di fare le giuste scelte per chi verrà dopo di noi.  

Spendiamo ogni anno 15 miliardi di Euro, di cui 9 miliardi annui per l’assunzione di badanti e 5 miliardi per il pagamento di rette di degenza in strutture di ricovero, senza aver preso in considerazione – al momento giusto – una polizza Long Term Care contro il rischio di perdita dell’autosufficienza.  

Più di tre italiani su quattro (77%) hanno una casa di proprietà, solo il 25% delle case è coperta da una polizza assicurativa. Peggio ancora se parliamo poi di polizze infortuni, assicurazioni vita, RC famiglia e spese mediche.  

L’Italia è il 4° paese, secondo l’Ocse, per longevità con un’aspettativa media di vita alla nascita di 85 anni. Rischiamo quindi di sopravvivere ai nostri risparmi totalmente scoperti di fronte ai rischi. 

Nel settore assicurativo il tema della fiducia dei clienti verso le compagnie è messo a dura prova nel famoso momento della verità – la liquidazione del sinistro – che raramente si trasforma in un’esperienza edificante, soprattutto in un Paese dove la percentuale elevata di frodi rende le compagnie molto prevenute anche rispetto a chi è in perfetta buona fede.     

Il sistema distributivo   

Il successo o l’insuccesso di banche e assicurazioni è poi indissolubilmente legato a quello delle proprie reti distributive

Con una differenza sostanziale: le banche si basano su decine di migliaia di dipendenti e migliaia di filiali, le compagnie su reti di imprenditoriagenti che, nella maggior parte dei casi, sono antropologicamente meno inclini a eseguire pedissequamente le direttive della loro mandante rispetto a un dipendente stipendiato.   

Per ragioni storiche diverse, banche e assicurazioni vivono però lo stesso paradosso: non avere – nella maggior parte dei casi – il pieno controllo della propria rete distributiva in un momento in cui questo è l’elemento decisivo per un repentino cambio di rotta. 

Da un lato, la maggior parte delle le banche è infatti costretta ad inseguire modelli di servizio più efficienti come le banche digitali e le reti dei consulenti finanziari, con l’handicap di una rete fisica costituita da filiali sul territorio che va necessariamente riqualificata e smaltita con gradualità.  

Dall’altro, la maggior parte delle compagnie assicurative è sotto lo scacco della rete distributiva, rendendo più complesso attuare le necessarie politiche di rinnovamento dell’offerta. 

Ciò è testimoniato da un lato dall’ecatombe di agenti che hanno cessano l’attività negli ultimi dieci anni (-29%) e, dall’altro, dalla chiusura di filiali (-34%) e dagli esuberi bancari (oltre 35mila) negli ultimi cinque anni. 

Le opportunità  

In questo contesto non mancano tuttavia le opportunità: alla ricerca disperata di nuovi margini di intermediazione sia banche che assicurazioni stanno infatti ibridando la propria offerta.   

Da un lato le banche hanno trovato fonti di redditività nelle polizze assicurative del ramo danni affiancate al ramo vita dove hanno da tempo una posizione dominante rispetto alle compagnie.  

Dall’altro le compagnie reagiscono proponendo soluzioni a pacchetto tramite ecosistemi assicurativi e allargando l’offerta ai prodotti finanziari-assicurativi (polizze ramo primo e terzo). 

Il fattore abilitante per la realizzazione di queste strategie è il digitale, anche se il successo appare più che mai legato alla relazione clienti e uomini di rete (agenti o dipendenti). 

Il risiko bancario in corso – l’OPS di Intesa Sanpaolo su UBI – e le prossime mosse di MPS, Banco BPM e BPER – cambierà radicalmente lo scenario competitivo assicurativo, si dovranno rivedere i rapporti di forza tra UnipolSai e Generali, il ruolo di Mediobanca e il destino di Aviva, AXA e Cattolica. 

Di una cosa possiamo stare certi: banche e assicurazioni saranno sempre più accomunate da un unico destino.