C’è private e private

AP Private | Ottobre – Novembre 2020

Quale è la soglia di accesso ai servizi private di una banca? Quale il patrimonio minimo per essere considerato un cliente private? Se lo chiedono anche i private banker.

La risposta non è così semplice, dipende da banca a banca, dipende dal tipo di cliente e anche dal private banker. A un giovane e promettente startupper o al figlio di un cliente importante nessuno chiederà mai una soglia minima.

Se sulla definizione di cliente private si può trovare normalmente un accordo nel definire la soglia intorno al milione di Euro di asset finanziari, la situazione si fa più complessa quando parliamo di clienti HNWI o UHNWI. Per i primi convenzionalmente la soglia dovrebbe essere intorno ai 5 milioni per i secondi la soglia convenzionalmente accettata è di 30 milioni. Senza citare il ruolo del private banker.

Ma anche in questo caso dipende dal potenziale espresso dal cliente. Un trend che non sfugge ai più attenti osservatori del mercato è rappresentato dalla sempre maggior polarizzazione dei segmenti: non c’è un modello di servizio di private banking unico, ma almeno quattro, uno per i clienti private low, uno per i clienti private high, uno per gli HNWI e un altro per gli UHNWI.

In tempi di vacche magre per le banche, di caduta dei margini di intermediazione, di ricerca spasmodica di costi da tagliare e filiali da chiudere, è indubbio che la gestione del segmento private stia subendo un radicale ripensamento. Come pure la figura del private banker.

Quasi tutti i grandi gruppi bancari universali che gestiscono clienti di tutti i segmenti, mass market, affluent, private, HNWI e UHNWI, stanno ripensando e rivedendo ancora una volta e più di prima i propri modelli di servizio e l’organizzazione interna – private banker e non solo – in un’ottica di ulteriore razionalizzazione delle strutture.

In particolare assistiamo a una polarizzazione dei clienti private che consiste nell’equiparare i clienti low private con asset fino a 1 milione di Euro ai clienti upper affluent uniformandone di fatto il modello di servizio, dall’altro lato ai clienti high private con asset vicini ai 5 milioni viene sempre di più riservato un servizio equiparabile a quello dei clienti HNWI, un’arma in più per i private banker.

Questa polarizzazione e ulteriore segmentazione della clientela di elevato standing segue un analogo ripensamento del modello di servizio già in atto da un po’ in alcune banche riservato ai clienti affluent che una volta erano di fatto equiparati ai clienti mass market.

La necessità di offrire un servizio adeguato e differenziato a diversi segmenti di clientela è anche il frutto della continua perdita di rendite di posizione delle banche e di quelle private in particolare a vantaggio delle reti dei consulenti finanziari e delle banche maggiormente digitalizzate, che hanno al loro interno ottimi private banker.

La digitalizzazione dei servizi bancari ha consentito di industrializzare i servizi private rendendoli scalabili anche alle reti dei consulenti finanziari che, grazie al modello “human & digital”, cioè al mix vincente di competenze umane e piattaforme digitali, si stanno dimostrando in grado di servire la clientela di elevato standing meglio delle banche tradizionali.

Le banche tradizionali come stanno rispondendo a questi cambiamenti? Le banche universali, soprattutto quelle più reattive, si stanno organizzando in modo da elevare il servizio alla clientela upper affluent, ad esempio tramite l’assegnazione di un gestore dedicato, di fatto equiparandolo a quello della clientela low private: una figura dedicata come il private banker.

Sul fronte HNWI o UHNWI assistiamo invece ad un modello di servizio che non punta sulla prossimità (tipica delle banche universali con le filiali) o su un’offerta specializzata nella gestione del risparmio (tipica delle reti dei consulenti finanziari) ma sulla proposizione di servizi (per ora) esclusivi, tipo club deal, private equity, corporate finance, il tutto con il private banker al centro che fa da collettore di competenze.

La scelta di alcune banche private, soprattutto di quelle più storiche, blasonate e specializzate di offrire i servizi ad alto valore aggiunto (anche per la banca) è una scelta necessaria imposta dalla riduzione dei margini di intermediazione relativa ai prodotti di gestione del risparmio e anche dalla difficoltà di ottimizzare e digitalizzare i processi interni. Come dire: se non si tiene il ritmo imposto dai primi è meglio cambiare rotta.

La competizione tra banche private e reti dei consulenti finanziari sui segmenti upper affluent e low private è infatti impari con le prime costrette a inseguire le seconde in una gara dall’esito già scontato.

Ecco dunque che la scelta di offrire altro dalla gestione del risparmio è l’ultima occasione di salvezza per alcune banche private. I margini di intermediazione derivanti da club deal, da investimenti in private equity, o dai servizi di corporate finance sono ancora alti e in grado di compensare la riduzione dei margini nei servizi bancari tradizionali.

Questo processo ha visto una forte accelerazione con l’abbassamento e l’azzeramento dei tassi degli ultimi anni e un’ulteriore impennata dopo la pandemia, dove il modello bancario tradizionale private o non ha mostrato tutti i suoi limiti.

È certo che stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione innescata dalla perdita delle rendite di posizione di quelle banche tradizionali che invece che cavalcare il cambiamento lo subiscono e invece di fare la banca fanno altro.

Nicola Ronchetti

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