Banche tradizionali a rischio

Chiamale se vuoi emozioni

Tra i motivi per cui le banche tradizionali universali – almeno per come le abbiamo conosciute fino ad oggi – sono a rischio di sopravvivenza c’è anche la loro sempre minor capacità di creare emozioni, cosa che invece le reti dei consulenti finanziari o le banche private sembra stiano imparando molto più rapidamente.

Pochi però credono a questa diagnosi: sembra di rivedere l’atteggiamento dei dirigenti della Kodak che non compresero cosa stava succedendo intorno a loro e si fecero ingannare dall’eccesso di confidenza.

La stragrande maggioranza delle scelte degli individui avviene su base emotiva. Le emozioni sono il motore delle nostre azioni e si dividono in emozioni che avvicinano ed emozioni che allontanano.

Le banche alla loro origine oltre 600 anni fa (la prima fu nel 1407 la Banca di San Giorgio a Genova) erano nate per dare sicurezza e protezione al denaro, erano e dovevano essere baluardo di serietà e concretezza. Forse un po’ troppo rigorose e alcune volte tristi, ma tutto sommato rassicuranti.

Due erano le emozioni forti sulle quali fondavano la loro esistenza: la sicurezza e la fiducia. Portare i soldi in banca faceva sentire più sicuri, dava una maggiore garanzia. La fiducia, la coerenza e il mantenimento delle promesse completavano il quadro.

Purtroppo queste emozioni sono state sostituite da altre: la paura di non rivedere i propri risparmi (dalla crisi di Lehman Brother a quelle delle nostre banche), l’incomprensione e l’inadeguatezza di certi prodotti (obbligazioni bancarie non quotate, titoli spazzatura), il dolore per le perdite subite e – infine – la rabbia.

La crisi che sta colpendo alcune delle banche – per fortuna non tutte – è doppiamente pericolosa: si rischia di dare tutta la colpa ad aspetti tecnici senza approfondire a sufficienza e col giusto metodo l’indagine degli aspetti emotivi. La fiducia nelle banche è in discesa, ma nei fatti le contromisure tardano ad arrivare perché manca la sensibilità per affrontare questi temi.

Oggi è tempo di Fintech, machine learning e intelligenza artificiale, che sono già realtà e quasi certamente saranno le soluzioni vincenti nel futuro ma essendo una via facilmente scalabile da tutti diventeranno presto una nuova commodity.

Siamo sicuri che è quello che il cliente vuole? I clienti sono felici di essere lasciati soli a sé stessi? Serve il salto di paradigma che anche ESMA e MiFID spronano a realizzare a colpi di leggi e regolamenti.

Le banche tradizionali hanno avuto per troppo tempo il vantaggio di lavorare su un istinto primario dei risparmiatori: l’istinto di sopravvivenza. La banca aiutava a rafforzare le probabilità di mantenere nel tempo il proprio denaro e questo faceva stare più tranquilli, quindi era un piacere servirsene.

Era facile lavorare su queste basi: si sa che vendere per soddisfare un bisogno primario è più semplice che intercettare o anticiparne uno nuovo. Fino a qualche tempo fa si sentiva il bisogno delle banche, quindi non serviva essere troppo raffinati nel saper gestire la comunicazione e la relazione.

Ma oggi non è più così. E allora chi ha la responsabilità deve progettare una customer experience che non può prescindere dal considerare i profondi impatti delle emozioni sul modello di business.

È necessario sorprendere piacevolmente i propri clienti, dare loro motivo di orgoglio per ritornare ad essere i migliori ambasciatori, i più potenti veicoli di marketing. Bisogna far sentire loro l’amore per il cliente che passa attraverso il rispetto e un corretto spirito di servizio che li faccia sentire bene.

Farli sentire accolti anziché involontariamente giudicati, perdonarli perché non sanno anziché imbarazzarli inconsapevolmente con spiegazioni tecniche nella maggior parte delle volte incomprensibili ai più.

E come si fa? Un aiuto arriva certamente dall’adozione sistematica dei principi dell’intelligenza emotiva, che parte da un assioma tanto semplice quanto spesso ignorato: la capacità di comunicare per farsi capire e di ascoltare per comprendere profondamente gli stati emotivi che vanno rispettati.

Chiamiamole se vogliamo emozioni.

Nicola Ronchetti