Consulenza finanziaria:

quando le parole contano

Proviamo a pensare a quanto contino le parole, non solo in ogni momento della nostra vita, ma anche e soprattutto nel settore del risparmio gestito e della consulenza finanziaria. Per rispondere potremmo con questo articolo varare una nuova analisi: la semantica della consulenza finanziaria.

Pensiamo a che cambiamento ha portato e sta portando il passaggio dalla parola “Promotore Finanziario” a quella “Consulente Finanziario”: in una sola parola un cambio fondamentale di paradigma.

Quale è il significato di “promotore”? Dal dizionario italiano: “persona cui è riconosciuto il merito di aver dato inizio o impulso a qualcosa”, “chi assume il compito di organizzare, di diffondere qualcosa, favorirne lo sviluppo”, in chimica “additivo che favorisce l’azione di un catalizzatore”.

Significati stupendi, il promotore è un paladino! Pensate ad esempio al valore simbolico di un promotore dell’industria del risparmio gestito o della educazione finanziaria o dei consulenti finanziari (quale magnifico bisticcio di parole).

Ma poiché “promotore” è anche associato – nel linguaggio volgare – a “chi svolge attività di promozione finanziaria” altrimenti detto “venditore”, ecco che la sostituzione con il termine “consulente” è stato un risultato eccezionale, ottenuto dopo una battaglia durata anni, per un’intera categoria di professionisti, che non è stata, non è e non sarà mai solo di semplici “venditori”.

Molto meglio allora la parola “consulente”, che – sempre dal dizionario italiano – significa: “professionista che informa e che consiglia su questioni specifiche”.

Assodato che oggi parliamo di consulente finanziario, analizziamo alcune (ma certamente non tutte) delle sue declinazioni, sarebbe meglio dire traduzioni, che le singole reti di CF adottando nel definire i loro professionisti o alcuni di essi: Private Banker (Banca Generali, Fideuram), Family Banker (Mediolanum), Life Banker (BNL BNP Paribas), Partner (Allianz), Personal Financial Advisor (Fineco), Personal Advisor (Widiba), Wealth Manager (Azimut), Advisor (CheBanca!), Wealth Adviser (IW Bank).

Ma come dopo tanti anni di battaglia per la conquista della parola “consulente” non la usa più nessuno! Nei fatti le singole reti usano meno del dovuto la parola Consulente Finanziari, per distinguersi tra loro, ma nel fare questo tutte la sostituiscono con parole inglesi, evidentemente, ritenute più cool, scusate volevo scrivere, più alla moda.

Ma non si tratta solo di parole, la battaglia che ha portato alla adozione del termine consulente, anziché promotore, è stata ed è una battaglia che per certi versi è ancora in corso e su più fronti.

Il primo e certamente più rilevante fronte è proprio quello del riposizionamento di una categoria professionale, che, a ragione, desidera rappresentare il referente degli individui, degli imprenditori e delle loro rispettive famiglie, non solo e non più unicamente per gli investimenti finanziari.

In parte questo posizionamento non rappresenta una novità per gli ex-promotori finanziari più visionari che si sono sempre occupati dei loro clienti a tutto tondo, d’altra parte anche per i meno visionari, oggi offrire prodotti non solo per la gestione del risparmio è diventata una scelta obbligata.

La recente volatilità dei mercati finanziari ha acuito la resistenza degli italiani ad investire (oggi in Italia investe solo il 50% degli italiani che investiva prima del 2001), la riduzione dei margini conseguente a MiFID 2 e alla omologazione dei servizi bancari (diventati commodity), impongono la presa in carico di altri bisogni dei clienti sia per la loro fidelizzazione ma anche e – forse – soprattutto per trovare nuovi margini da ricavi in un mercato sempre più avaro.

Ecco allora che le reti dei consulenti finanziari, da sempre avverse agli impieghi, iniziano a proporre mutui, crediti Lombard, credito al consumo, finanziamenti alle imprese, conti correnti on line, carte di credito, oltre a servizi che spaziano dall’immobiliare, all’arte e al tempo libero.

Non solo, ma questi servizi tipicamente bancari vengono molto spesso proposti a prezzi inferiori e a qualità superiori rispetto alle banche tradizionali. Per non parlare dei prodotti assicurativi dove non è certamente fantascienza ipotizzare che dopo l’attacco alle banche si scatenerà ben presto anche un attacco alle agenzie assicurative, nella maggior parte dei casi un po’ addormentate sugli allori di un passato che non c’è più.

Ben inteso: si tratta – sia per le banche tradizionali che per le agenzie assicurative – di un attacco benefico per loro stesse, per il mercato e anche per il cliente finale. La concorrenza sveglia i colossi sopiti e rimette in circolo energie nuove, quindi ben venga.

Il secondo fronte – non solo semantico – su cui è aperto un confronto, anche se formalmente si è già chiuso con l’ingresso dei consulenti fee-only nell’OCF, è quello dell’affiancamento alla parola consulente del termine “indipendente” o “autonomo”.

Sembrerebbe una questione bizantina, ma sotto sotto c’è il posizionamento ed il riconoscimento di una nuova figura professionale. Senza voler sollevare un polverone, è però abbastanza evidente che l’affiancamento alla parola “consulente” della parola “indipendente” significa implicitamente di dare del “dipendente” a quei consulenti finanziari che, innanzitutto non sono formalmente dipendenti in quanto agenti monomandatari e che – comunque – oggi rappresentano il 99,9% dei professionisti e certamente non meritano nel loro complesso, s’intende, di essere tacciati per il loro presunto o reale che sia conflitto di interessi.

Dal dizionario italiano: la parola “autonomo” è riferita a “chi ha la capacità e la facoltà di amministrarsi da sé”, ovvero “prestatore d’opera che esclude ogni vincolo di subordinazione”. Certamente una definizione calzante ma anche in questo caso, a fare i sofisti, nella parola autonomo si potrebbe insidiare un baco negativo: senza nessuno alle spalle, un po’ battitore libero, un po’ lupo solitario.

Ed è per questo che il dibattito anche sulla parola appropriata da dare ai consulenti fee-only non è stato facile. Certo perché tutti sono consapevoli che esista un paradosso tra gli italiani che investono: da un lato dichiarano di non amare le banche e le compagnie di assicurazione, dall’altro danno i loro soldi solo a queste o comunque alle reti dei CF che nel 90% dei casi sono controllate dalle stesse banche e compagnie assicurative e pochissimi si affidano ad un singolo, ancorché validissimo, professionista “battitore libero”. 

I numeri – oggi oggettivamente miseri – dei consulenti fee only che hanno fatto domanda di iscrizione all’OCF ci dicono che senza una struttura alle spalle è un lavoro – per il momento ed in Italia – molto complesso se non impossibile. Tanto è che gli unici consulenti finanziari fee only che hanno un peso reale sul mercato sono sostanzialmente quelli che si appoggiano (per attività di formazione, procedure di iscrizione all’albo, applicativi informatici e altro ancora) ad una grossa e riconosciuta realtà che ha fatto del fee only la sua stessa ragione di vita (Consultique fondata da due pionieri del settore Cesare Armellini e Luca Mainò).

Concludendo possiamo convenire che le parole nel mondo della consulenza finanziaria contino tantissimo, che dietro le parole si celino strategie e posizionamenti di mercato e che – parafrasando un antico detto – una parola potrebbe uccidere (o – nel nostro caso – non far neanche nascere) più persone che una spada.

Nicola Ronchetti