ETF: DA CENERENTOLA A PRINCIPESSA

We Wealth |Aprile 2021

Vanguard ha finalmente aperto il suo ufficio a Milano, un mero atto formale, la città era già sedotta e conquistata dal colosso americano degli ETF e dal suo ambasciatore Simone Rosti. 

Sembra passato un secolo da quando i primi ETF sono sbarcati in Italia, subito bollati come prodotti di serie B non in grado di cogliere le opportunità del mercato ma solo di replicare in modo pedissequo gli indici.

Consulenti finanziari e private banker mal li sopportavano in quanto rappresentavano la negazione stessa della consulenza finanziaria: meri replicanti che, proprio per la loro natura di prodotto basico, non consentivano tra l’altro di remunerare l’attività di consulenza.

Il crollo dei tassi ha alzato l’asticella dell’attenzione sul costo dei prodotti di investimento e sulla qualità degli stessi. Per i gestori attivi incapaci di battere gli indici e al contempo cari come il fuoco è arrivato il redde rationem e il mondo della consulenza finanziaria e del private banking lo ha capito prima e meglio di altri.

Come se non bastasse sono poi arrivati anche gli ETF attivi, una vera antinomia, ma anche una manna per la consulenza finanziaria: performance al giusto prezzo.

Infatti per le reti dei consulenti finanziari, anche esse alle prese con la ricerca di rendimenti per i propri clienti e al contempo al contenimento dei costi, gli EFT sono diventati uno strumento perfetto da inserire, come uno degli ingredienti, certamente non l’unico, nei servizi di consulenza finanziaria evoluta.

In altri termini le reti dei consulenti finanziari e i private banker hanno compreso, in epoca di tassi zero e prima di altri, l’importanza di offrire una consulenza finanziaria a parcella o “fee only” dove le commissioni sul collocamento sono retrocesse al cliente che paga in chiaro per la consulenza finanziaria ricevuta.

Ecco che in questo contesto gli ETF, sia attivi che passivi, sono diventati una vera e propria benedizione, non necessariamente stand alone, ma soprattutto mixati con altri tipi di prodotti, nelle gestioni patrimoniali e più in generale nell’asset mix dei clienti alla ricerca di consulenza finanziaria di qualità al giusto prezzo.

Quello degli ETF è un trend irreversibile: oggi, non c’è un solo gestore attivo internazionale che non abbia a catalogo anche gli ETF (Amundi, Invesco, Goldman Sachs, JP Morgan, Fidelity, Franklin Templeton) anche se di fatto il mercato a livello globale lo controllano tre big del calibro di iShares BlackRock, State Street e, appunto, Vanguard.  

E proprio da Vanguard ci si aspetta una rivoluzione dei modelli di distribuzione, negli Stati Uniti    dove la società fondata dal filantropo Jack Bogle è nata, e grazie alla reputazione di società onesta e in grado di ridurre i costi in carico ai clienti finali, ha di fatto disintermediato la distribuzione andando direttamente sull’investitore finale e ribaltando molte rendite di posizione. 

Certamente il mercato italiano non è paragonabile a quello USA, ma la consulenza finanziaria in generale, i consulenti finanziari, i private banker e a tendere anche i gestori bancari, dovranno sempre più spesso fare i conti con gli ETF anche perché hanno saputo cogliere uno dei più importanti trend, ritenuto dai più irreversibile, quello dei prodotti ESG. 

Non è un caso che – oltre ai dati di raccolta – la propensione dei consulenti finanziari a inserire gli ETF nei portafogli consigliati ai loro clienti è triplicata in 4 anni, dal 16% del 2017 al 48% nel 2020 (fonte FINER® CF Explorer).

Insomma la storia degli ETF ci ricorda un po’ quella di Cenerentola diventata una principessa con buona pace delle sorellastre invidiose. 

Nicola Ronchetti