GENDER GAP BANCHE MEGLIO DELLE RETI?

Advisor | Marzo 2022

Il superamento delle disparità di genere ha una valenza non solo sociale ma anche economica e finanziaria: le aziende con una presenza bilanciata di uomini e donne sia in generale che nelle posizioni di vertice generano più utili.

Quale è la situazione in Italia nelle reti dei consulenti finanziari, nelle banche private e nelle banche universali?

FINER ha intervistato oltre 2.000 professioniste nell’ambito dei suoi monitoraggi annuali che coinvolgono complessivamente 7.500 individui (3.510 consulenti finanziari con FINER® CF Explorer, 1.790 private banker con FINER® PB Explorer e 2.200 gestori bancari con FINER® BM Explorer).

La percentuale di donne cambia in modo radicale a seconda della professione: sono la minoranza tra i consulenti finanziari (17%), crescono tra i private banker (26%) per avvicinarsi all’equilibrio tra i gestori bancari (48%).

La ricerca ha verificato se nella banca/rete dove le donne lavorano ci siano iniziative volte a colmare le disparità di genere, salario, flessibilità oraria, work-life balance, prospettive di carriera/crescita in azienda.

Il 61% delle professioniste donne che lavorano in una banca universale dichiara che queste iniziative sono presenti, percentuale che scende al 52% tra le private banker e al 36% tra le consulenti finanziarie.

Ma al di là della presenza di iniziative volte a ridurre la disparità di genere è fondamentale capire quanto queste siano poi realmente efficaci ed effettivamente soddisfacenti per le professioniste.

In questo caso il dato si ribalta, le reti vincono sulle banche: il 63% delle consulenti donne sono completamente soddisfatte di queste iniziative, contro un dato che scende rispettivamente al 37% e al 35% per le professioniste che lavorano in una banca universale e come private banker.

Sembra dunque che le banche – siano esse universali o private – siano più attive nel promuovere e dichiarare iniziative volte a superare la disparità di genere, mentre nelle reti dei consulenti finanziari – ove queste sono meno presenti formalmente – la loro efficacia sia maggiore.

Da un’altra prospettiva possiamo rilevare che le donne consulenti finanziarie, pur essendo ancora una minoranza rispetto ai loro colleghi, siano però molto più realizzate professionalmente rispetto alle loro colleghe che lavorano in banca.

Le reti di consulenza finanziaria hanno effettivamente strutture più snelle e meno livelli gerarchici, l’attività di consulente è poi connotata da forti valenze imprenditoriali dove le capacità individuali contano più degli organigrammi e quindi teoricamente la meritocrazia dovrebbe prevalere sulle disparità.

Per questo stupisce ancora di più che le donne consulenti finanziarie siano una minoranza e viene quindi naturale chiedersi quali siano i fattori che indurrebbero una professionista che lavora in banca a spiccare il volo lasciando il posto fisso.

Tra gli elementi che possono convincere una dipendente bancaria a diventare una consulente finanziaria ci sono, oltre alle migliori prospettive economiche (74%), una maggior autonomia (66%), investimenti in formazione (52%), processi e strumenti di lavoro più agili e innovativi rispetto a quelli che hanno in banca (41%).

Le professioniste si caratterizzano poi per maggior capacità di ascolto, minor ansia da prestazione, maggior capacità di lavorare in team e fedeltà all’azienda, tutte doti che dovrebbero contribuire ad aumentare la loro presenza anche nei ruoli manageriali.

La strada da fare è ancora molta ma forse si intravede una luce in fondo al tunnel delle disparità.  

Nicola Ronchetti