In maniche di camicia per l’ambiente e non solo

Quanto è importante l’abbigliamento in banca?

Quanto è importante l’abbigliamento per i consulenti finanziari, i private banker e, in generale, per chi lavora in banca? Molto, così almeno la pensano i clienti e i grandi banchieri. 

Partiamo dai clienti HNWI e private italiani: quasi un terzo di loro ricorda come era vestito il proprio private banker, uno su dieci ha scartato un professionista perché: “tra le altre cose che non mi hanno convinto, era pure vestito male”.

Quindi camicia bianca, abito e cravatta blu e scarpe rigorosamente nere per tutti? Dipende dal tipo di cliente che si incontra e dal contesto: presentarsi in giacca e cravatta a una riunione con giovani startupper milionari può essere una mossa falsa a meno che con scioltezza e ironia non ci si snodi subito la cravatta e ci si rimbocchi le maniche.

Ogni professione ha una sua “divisa” i giovani direttori creativi o i guru della comunicazione indossano t-shirt, felpa e sneakers, di ordinanza, anelli e cappellino poi sono un must.   

C’è poi un altro risvolto che fa dell’abbigliamento un fattore impattante anche sull’ambiente. Le temperature medie si stanno alzando e con loro si accendono gli impianti di aria condizionata.

Quando per strada si vedono bermuda e magliette a maniche corte significa che la calura è arrivata.  Negli uffici però, per la gran parte tutti con l’aria condizionata accesa, gli uomini indossano, non sempre per propria scelta, giacca e cravatta. 

In Giappone, da anni, le cose vanno in maniera diversa. A Tokio tutti gli impiegati pubblici, compresi i dirigenti, possono lasciare a casa, a partire dai primi caldi e fino alla fine di settembre, la giacca e la cravatta. A chiederglielo è stato il primo ministro in persona che è apparso in pubblico in manica di camicia per dare l’esempio.

L’obiettivo è nobile: il governo ha infatti deciso di ridurre l’uso di aria condizionata negli uffici pubblici in modo da tagliare le emissioni di gas serra in rispetto al protocollo di Kyoto.

Da Tokio a New York la notizia è di questi giorni: la Goldman Sachs rinuncia alla rigida divisa da sempre obbligatoria a Wall Street – abito scuro, camicia chiara, cravatta e scarpe nere – e autorizza i 36 mila dipendenti della banca d’affari più blasonata d’America a scegliere un abbigliamento rilassato: in ufficio in jeans e felpa o t-shirt. 

L’ordine di servizio pubblicato dal CEO, David Solomon, segna una svolta epocale per i costumi del mondo della finanza. 

In realtà Solomon si è limitato a ufficializzare e legittimare qualcosa che stava già avvenendo e lo ha fatto soprattutto per motivi di business: la lotta sempre più aspra tra Wall Street e Silicon Valley per la conquista dei migliori talenti, soprattutto nelle professioni tecnologiche. I millennials, che non amano indossare giacca e cravatta, sono ormai il 75 per cento dei dipendenti della banca. 

Da qualche tempo, del resto, le cose stanno cambiando anche nelle banche commerciali, meno rigide di quelle di Wall Street: Jamie Dimon, il capo della più grossa, JPMorgan Chase, si fa vedere spesso senza cravatta (non più obbligatoria anche agli sportelli) mentre il presidente di Citigroup, Jamie Forese, sempre più spesso si presenta in ufficio indossando gilet sportivi. 

Nel cancellare l’obbligo della cravatta, la Goldman ha invitato i suoi dipendenti a esercitare il loro giudizio scegliendo capi adeguati agli impegni della giornata e alle aspettative dei clienti che dovranno incontrare. 

E se i dipendenti che andavano a fare affari con investitori californiani o imprese tecnologiche venivano già invitati da anni a indossare felpe grigie col cappuccio, stile Zuckerberg, chi incontra i ricchi e attempati risparmiatori di Manhattan non potrà quindi rinunciare facilmente alla divisa tradizionale del banchiere.  

C’è ancora qualcuno che s’illude che l’abito non faccia il monaco?

Nicola Ronchetti