L’UE VERSO L’ELIMINAZIONE DELLE RETROCESSIONI SUI FONDI

La Repubblica | Gennaio 2023

La Commissione europea intende abolire i compensi delle case prodotto a chi colloca prodotti finanziari. Una misura che mira ad abbattere i costi a carico dei piccoli investitori, ma che al tempo stesso rischia di restringere la platea di chi ha accesso alla consulenza professionale

Uno spettro si aggira per l’Europa: la prospettiva di eliminare le retrocessioni che intascano i consulenti finanziari (non indipendenti) per i prodotti d’investimento che vengono sottoscritti dai loro clienti. L’Unione europea vuole stabilire il divieto di commissioni e inducements con l’obiettivo di ridurre i costi a carico degli investitori, anche se il risultato è tutt’altro che scontato.

Il progetto di riforma

La Commissione europea sta lavorando alla “Retail Investment Strategy”, che tra le altre cose punta a rendere più trasparente e imparziale la consulenza finanziaria e dovrebbe essere approvata tra la fine del primo e l’inizio del trimestre di quest’anno.

È in questa cornice che si inquadra la misura messa a punto dalla commissaria europea per i Servizi finanziari, Mairead McGuinness, di abolire le retrocessioni, cioè il denaro che la casa prodotto gira all’intermediario (banca o rete di consulenti finanziari) il quale vende il prodotto d’investimento. Una misura sostenuta dalle associazioni di investitori retail, le quali fanno notare come i fondi che prevedono retrocessioni siano mediamente più cari. Insomma, il compenso che spetta al consulente viene pagato – se non tutto, quasi – dall’investitore finale e il risultato è che i fondi nell’Eurozona hanno costi mediamente più alti di un terzo rispetto al resto del mondo. Un aggravio che Bruxelles intende eliminare, sul modello di quanto già avviene nel Regno Unito.

Dibattito aperto

Se andasse in porto il progetto, gli intermediari subirebbero un duro colpo e questo spiega la loro pronta reazione. La Federazione bancaria europea Insurance europe, che rappresentano a livello europeo rispettivamente gli interessi di banche e assicurazioni, criticano la lettura della Commissione Ue sostenendo che il modello basato sulle retrocessioni è per molte famiglie l’unica porta d’accesso alla consulenza finanziaria, considerato che sono pochi quelli disposti a pagare di tasca propria il consulente finanziario. Dunque l’abolizione lascerebbe campo aperto a modelli di mera esecuzione degli ordini e ai robo advisor automatizzato. A livello politico le critiche principali sono arrivate dal governo tedesco, con il ministro delle Finanze Christian Lindner, per quale vietare gli incentivi “significherebbe fare un grave passo indietro negli sforzi per aumentare gli investimenti al dettaglio nei mercati dei capitali”.

Una posizione alla quale le associazioni di investitori rispondono prospettando piuttosto il decollo della consulenza a indipendente, quella che vede i professionisti retribuiti a parcella per la consulenza prestata.

Rischi imprevisti

Nel dibattito è intervenuto anche Nicola Ronchetti, fondatore e ceo dell’istituto di ricerca Finer Finance Explorer. Per l’esperto, “fare la guerra agli inducement senza analizzare i possibili scenari potrebbe rivelarsi rischioso” per due ordini di ragioni. La prima è che “i distributori proporrebbero solo i prodotti di casa, limitando l’offerta, la competizione tra asset manager e quindi probabilmente anche la qualità”. La seconda è che “a essere penalizzati sarebbero gli investitori finali meno abbienti che non potrebbero pagarsi una consulenza di valore”. Dunque, il divieto potrebbe segnare il declino del modello attuale di architettura aperta (con i consulenti che propongono un bouquet di offerte, tra cui prodotti della casa) a beneficio di un’architettura chiusa (meno prodotti e solo quelli che il consulente ha interesse a spingere). Insomma una situazione intricata nella quale non sarà facile un punto di equilibrio.

Luigi dell’Olio