Lusso inquieto:

tra etica, estetica, profitto.

We-Wealth | Marzo 2020

Caroline Patey

Croce e delizia di filosofi e gaudenti, il lusso è un piacere inquieto, che l’eterna tensione fra mollezze e agi spesso tormenta.

Lungi dall’essere una invenzione della modernità, il lusso tormentava già i filosofi del mondo classico – anche se così non si chiamava ancora.  Come infatti trattare i piaceri  che derivano dalla ricchezza quando s’intreccia al bello e al raro?

Nella civile Atene di Pericle, non mancavano le tensioni tra austerità e appetiti. E se Platone e Socrate nutrivano poca simpatia per l’abbandono incontrollato al desiderio per lodare al contrario le virtù della frugalità e della misura, non mancava chi invitava a un certo edonismo, come Aristippo che vedeva negli Dei i primi amanti del lusso.

Così, l’amore delle cose belle e rare insegue un suo tragitto bifronte: vano e poco saggio per gli uni, amabile e fausto per gli altri.

Simili contraddizioni toccano alla morigeratezza. Valga l’esempio del parsimoniosissimo Catone, al quale Plutarco rimproverava tuttavia di trattare con estrema avarizia i propri schiavi e di rovinare le virtù della moderazione con l’eccesso della severità.

A raccontare il dissidio antico nella percezione del bello superfluo sono anche le leggi suntuarie con le quali si è tentato periodicamente e senza successo, tra epoca romana, Medioevo e prima modernità, di arginare il consumo e l’esibizione dei beni preziosi o di orientarne la distribuzione sociale.

Il desiderio estetico e sensuale delle cose combatte da tempo e nel tempo con le sempre vive morali del rigore, laiche o religiose che siano, in una tensione che si ripropone da un secolo all’altro, sia pure in varie sembianze.

La liberazione del lusso

Nell’Europa del Settecento, appena nata alla finanza, al mercato e al consumo e trainata dai Paesi bassi e dall’Inghilterra, il lusso si emancipa a viva forza dalle gabbie dell’etica e dalle virtù della temperanza.

Nello stupore delle sete che giungono dall’Asia, tra le porcellane finissime importate dalla Cina o nel bagliore di pietre preziose sconosciute, non sembra esserci più spazio per il rimorso della coscienza o la misura scettica.

Un saggio memorabile di Joseph Addison sul Royal Exchange londinese invita a condividere la profusione di colori, tessuti, frutta esotica, gusti e profumi offerti ai cinque sensi e a possibilità finanziarie in rapida crescita.

Era il 1711, e il giornalista firmava in qualche modo l’atto di nascita di un appetito di bellezza e esclusività che avrebbe segnato lo sviluppo sociale e accelerato enormement il passo della rivoluzione industriale. Ma la disputa sul fronte della fisosofia e del pensiero economico non si tace, e anzi nutre alcuni tra i grandi temi dell’Illuminismo.

Lusso inquieto e incendiario

All’anglo-olandese Bernard de Mandeville va il merito di avere incendiato la polemica sul lusso, nel 1705. La sua Favola delle api dipinge le felicità sociali e private dell’abbondanza e di un alveare dove milioni di api sono occupate a soddisfare la vanità e le ambizioni delle altre, occupate invece a consumare, nel segno di una domanda sempre crescente, di guadagni notevoli e di una corruzione endemica.

La parabola della favola

E tuttavia, pieno di vizi com’è, il paese gode di una felice prosperità, stimato e temuto dagli altri: ‘Il lusso fastoso occupa milioni di poveri e la tanto vituperata vanità consente a milioni di altri di mangiare’.

Ma l’arrivo di un governo deciso a mettere a freno malcostume, dissolutezza e lusso senza freno fa rapidamente precipitare l’alveare nella più grama desolazione economica, con annesse disoccupazione e carestie.

La battaglia tra vizi pubblici dello sfarzo e private virtù dell’astinenza, tutta tesa nella fiaba di Mandeville a celebrare i primi, si guadagnò un posto centrale nel dibattito settecentesco.

Russeau, Smith, Hume

Alfiere della frugalità e arcinemico dei beni voluttuari e dello spreco ritenuti immorali, Jean-Jacques Rousseau avrebbe guerreggiato vita natural durante contro chi invece riteneva che merci e consumo ingentiliscono i costumi e che, se privi dei piaceri del superfluo, gli uomini non si godono la vità e diventano inutili a sé e al mondo. Tra questi, Adam Smith e David Hume, le cui opere accompagnano la giovane economia di mercato.

Mutevole e inquieto, è il lusso

Di crisi in guerra, tra geopolitiche sempre più interdipendenti, legato alla duplice volatilità del gusto e della finanza, il lusso cambia identità velocemente e le sue semantiche sono assai volatili.

Ma se prende tante forme, continua la conversazione non sempre facile che esso intrattiene con l’etica e le forme culturali e politiche della frugalità. L’anelito a una sorta di purificazione dal mercato onnipotente e onnipresente ha prodotto interessanti sperimentazioni ‘utopiche’ certo, ma anche ricerche artistiche ‘minimaliste’ fondate sull’economia di mezzi, l’anonimato e la povertà di materiali.

Nonostante questi artisti, da Donald Judd al gruppo di Arte povera, siano entrati a distanza di sessant’anni, a fare parte dell’universo del lusso, il loro linguaggio espressivo è segnato da una certa frugalità.

Oggi il lusso è ancora inquieto?

Persino oggi, dopo anni in cui il lusso ha tenuto alto il profilo di una crescita assai provata dalle altalene della finanza, l’economia circolare lascia intravvedere uno slittamento dall’asse dell’opulenza e della visibilità – decenni di brand hanno fatto forse il proprio tempo – verso orizzonti e codici diversi.

L’esperienza vince sul possesso

millenial si pongono e pongono il problema dell’etica, e invitano a declinare il bello e il raro con riciclaggio, gestione dei rifiuti ed ecologia.

Nasce così a Grasse per État libre d’Orange il profumo (un po’ provocatorio)  ‘I am trash’ mentre Stella McCartney si unisce al gruppo ‘Parley for the Oceans’, dedito alla protezione dei mari e alla manifattura di oggetti nati dalla plastica che soffoca le acque.

Sembrerebbero sempre meno importanti gli aspetti legati al consumo e più significativi al contrario individualità e connoisseurship di chi acquista; e un rapporto recente evoca persino un nuovo ascetismo e le virtù della dimensione simbolica e della intangibilità.  Di soppiatto, etica e estetica tornano a dialogare con il lusso, nel segnalare insieme che la sostenibilità ha un forte potenziale creative – e produttivo.