Manager di rete:

manager da estinzione

C’erano una volta i manager di rete, o meglio ci sono ancora, ma sono molti meno e dovrebbero velocemente adattarsi al nuovo clima, cambiando pelle e ruolo altrimenti rischiano l’estinzione.

Sì perché una volta – parliamo dei primi anni novanta – le reti erano un po’ come le piramidi: chi stava ai gradini più bassi retrocedeva una parte (consistente) delle proprie provvigioni a quelli che occupavano i diversi livelli superiori.

Poi anche le mandanti si sono rese conto che si potevano ottimizzare le strutture e rendere la catena di comando più diretta e corta e molte funzioni manageriali sono state accorpate o eliminate.

Oggi la figura del manager di rete (regional, district, area manager che sia) sembra di nuovo sotto i riflettori e pare messa fortemente in discussione nel suo ruolo di puro e semplice coaching (motivatore) o di watchdog (supervisore o “cane da guardia”).

Alla ricerca spasmodica di margini e dopo aver “squeezzato” (letteralmente spremuto) le retrocessioni alle SGR terze, le mandanti hanno iniziato a razionalizzare ulteriormente (per usare un eufemismo) le proprie strutture manageriali sia di sede che sul territorio.

Se è vero che più le reti sono numerose (pensiamo – ad esempio – alle prime due/tre realtà che possono contare su quasi cinquemila CF) più è impensabile che possano essere adeguatamente supportate solo dalla sede, è d’altronde altrettanto vero che il manager puro motivatore, diciamocelo, è un po’ passato di moda.

Il manager di rete è chiamato ad un ruolo fondamentale come anello di congiunzione e cinghia di trasmissione tra la sede e la rete su tematiche molto rilevanti che spaziano dalla messa a terra delle molte recenti normative (MiFID 2 ma anche IDD, PSD2, GDPR), al supporto commerciale, al coaching, al controllo del budget, al reclutamento, solo per citare le più rilevanti.

D’altronde è altrettanto vero che la figura del CF sta radicalmente cambiando per un’oggettiva mancanza di ricambio generazionale che non sappiamo se sia la causa o l’effetto di un aumento della soglia minima del portafoglio causata a sua volta da una riduzione dell’entità delle retrocessioni. 

Fatto sta che oggi il CF ha un’età più avanzata e un portafoglio molto più significativo rispetto al passato: il combinato disposto di questi due fattori lo rende ancora più consapevole delle proprie capacità, più autonomo e quindi meno disposto a essere intermediato rispetto alla Direzione della propria mandante.

Effettivamente più i CF sono senior e di peso (leggi con portafogli mediamente molto superiori alla media) più le figure manageriali sono chiamate a un compito difficile e forse anche inutile, tanto è che in molte reti i livelli manageriali di riferimento di questo tipo di CF sono molti meno rispetto alla media dei CF.

Dalle ricerche che FINER conduce sull’universo dei CF Top (con seniority e portafogli significativi) emerge come in realtà più che manager costoro dichiarino di necessitare di assistenti o giovani CF che li possano supportare nelle attività più burocratiche e routinarie, consentendo loro di investire il poco tempo a disposizione per i clienti e – tra di essi – quelli più importanti che mai come in questo momento sembra debbano essere seguiti con grande attenzione e cura.

Vita dura quella del manager di rete, schiacciato come è tra le esigenze della sede e quelle della rete che spesso non solo non coincidono ma paiono – a volte – anche in conflitto.​​

Certamente, come sta avvenendo per i CF, ci sarà una forte selezione naturale tra i manager, dove i più capaci di loro diventeranno insostituibili, ma i meno capaci saranno spazzati via dal mercato.

Che vincano dunque i migliori manager di rete in grado di supportare questa bellissima professione – quella del CF – che, viceversa, rischierebbe prima l’isolamento e poi, inesorabilmente, l’estinzione.

Nicola Ronchetti