Private banking

le reti rinforzano l’immagine

Dall’ ultima edizione di FINER PB Explorer che ha coinvolto 1.755 Private Banker che lavorano nelle 30 principali banche private italiane è emerso un risultato molto chiaro: le reti dei CF, a cui oggi fanno capo oltre 300 degli 802 miliardi (pari al 37,5%) degli AUM riferibili al mercato private italiano, hanno scalato la classifica anche in termini di immagine e di attrattività per i banker italiani.

FINER ha messo a punto un indicatore sintetico che considera tre elementi: 1) la percezione di immagine basata su 15 caratteristiche, 2) la capacità di attrarre i talenti, 3) la reputazione/notorietà.

Il risultato è inequivocabile, se fino a sei anni fa le reti erano solo in minima parte considerate dai private banker come un luogo di approdo ideale, oggi tra le 10 realtà a cui la maggior parte dei banker vorrebbe approdare la metà, ben 5, sono reti.

Cosa è successo negli ultimi anni da cambiare così radicalmente la mappa della desiderabilità delle reti rispetto alle banche? Un primo elemento è sicuramente riconducibile alla crisi del modello bancario in senso stretto, caratterizzato dalla centralità della filiale e del banker dipendente che offre servizi di gestione del patrimonio.

Oggi la mobilità e la flessibilità sono un prerequisito fondamentale: è la banca che deve andare dal cliente e non viceversa, e su questo le reti hanno fondato il loro successo. Questo modello implica un cost/income ratio, cioè un rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione, decisamente più favorevole per le reti rispetto alle banche.

E se è certamente vero che questi benefici economici ricadono prevalentemente sulle banche/reti, è altrettanto indubbio che anche le dinamiche retributive di chi opera in realtà più snelle e flessibili ne beneficiano in modo significativo. Detto in altri termini le reti dei CF sono più attrattive anche dal punto di vista retributivo per i private banker.

Un altro elemento centrale è la dimensione del patrimonio gestito dalle banche private: oggi è indubbio che piccole banche private, magari senza un grande gruppo alle spalle, con masse in gestione sotto i dieci miliardi di Euro, con i margini in continua riduzione e costi in crescita (compliance, adeguamenti normativi, e investimenti in IT) non hanno più i mezzi economici per attrarre nuovi talenti o trattenere i più meritevoli tra i loro private banker.

Viceversa al fianco dei grandi gruppi bancari italiani ed esteri le reti hanno oggi una posizione di tutto rilievo e certamente maggior capacità di attrarre talenti rispetto a piccole realtà del private banking che arrancano sotto la pressione dei costi e di una concorrenza sui margini, impensabili fino a qualche anno fa.

Ma non è solo una questione di soldi, le reti si sono significativamente rafforzate in termini di immagine e di reputazione, certamente anche per demerito delle banche tradizionali che hanno perso molto terreno per le crisi e gli scandali che le hanno caratterizzate nell’ultimo decennio, ma soprattutto per la loro capacità di costruirsi e comunicare nel tempo un’immagine vincente.

La cosa più interessante è che a ben vedere si tratta di realtà, quelle delle reti, molto differenti tra di loro: abbiamo reti che offrono un modello private digitale, dove anche i servizi di wealth management sono divenuti scalabili e industrializzabili, reti multicanale che affiancano il Private Banker a piattaforme all’avanguardia con servizi accessori (lending, ecc.) e reti totalmente e unicamente specializzate nel wealth management.

Quello che è vincente nel modello delle reti è anche l’assenza di assorbimento di capitale che le ha da sempre caratterizzate, e per questo, grazie all’assenza di impieghi, si genera un maggiore budget per comunicare e – addirittura – per aprire filiali (o sarebbe meglio definirli flagship store) sul territorio quando le banche le stanno chiudendo a ritmi forsennati.

Provate a fare un giro in centro a Milano o a Verona, Roma, Napoli e scoprirete che dietro sfavillanti vetrine, arredamenti moderni e accoglienti c’è una rete che ha aperto un ufficio, spesso su strada, spesso molto bello, moderno ed accogliente.

E cosa dire della comunicazione, della pubblicità, sui mezzi tradizionali (stampa, televisione, radio, affissioni) ma anche sul web? Di fonte ad un silenzio quasi assordante della maggior parte delle banche, veniamo deliziati da campagne pubblicitarie azzeccatissime delle reti, che non solo attraggono clienti potenziali ma rafforzano la loro immagine presso il mercato e i professionisti del settore.

L’immagine vincente, si sa, non si costruisce dall’oggi al domani, dunque brave le reti dei consulenti finanziari e bravi i loro condottieri che, non solo le hanno sdoganate nel mercato bancario, ma le hanno portate a tutto titolo nell’Olimpo del private banking, dove, c’è da scommetterci, giocheranno un ruolo sempre più da protagoniste.

Nicola Ronchetti