Bluerating | Febbraio 2025
Certo una rondine non fa primavera, ma il fatto che alcuni consulenti finanziari decidano di lasciare una rete per andare in una banca cosiddetta “tradizionale” non sembra più un fenomeno circoscritto e isolato, quindi merita di essere analizzato e compreso per cogliere le dinamiche nell’evoluzione di un’industria sempre più importante per il nostro Paese.
Partiamo con il dire che il 99% delle reti è una banca e che la distinzione tra banca “rete” e banca “tradizionale” sta sempre più stretta soprattutto a quelle banche cosiddette tradizionali che di tradizionale – per loro fortuna – hanno sempre meno.
Aggiungiamo che la più grande banca italiana – Intesa Sanpaolo – ha – solo in Italia – due banche, tre reti, una banca digitale e un’altra banca che unisce una piattaforma di trading con un’assistenza da remoto di un consulente finanziario, inoltre la sua banca private accoglie nel suo organico sia private banker dipendenti che consulenti finanziari.
La stessa banca è stata la prima ad adottare il cosiddetto “contratto misto” con il quale il datore di lavoro attiva, in capo allo stesso lavoratore, due rapporti di lavoro paralleli: un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e un contratto di lavoro autonomo come consulente finanziario.
A conferma della osmosi e della sovrapposizione tra banche e reti all’interno degli stessi gruppi bancari, vi sono altri casi: quello di BNL BNP Paribas Life Banker la rete dei consulenti finanziari entrata nella divisione Private & Wealth, Credem Euromobiliare Private Banking che accoglie sia i consulenti finanziari che i dipendenti, Crédit Agricole ha una nutrita schiera di consulenti finanziari nella sua divisione bancaria, Banco Desio ha rafforzato all’interno della direzione Wealth la sua rete di consulenti finanziari.
Tra le big bank UniCredit – che al momento non ha una sua rete di consulenti finanziari, avendo ceduto Fineco nel 2019 – ha recentemente accolto un CF di una delle reti più importanti confermando che i consulenti finanziari sono i benvenuti nella banca al fianco dei dipendenti.
Anche il Gruppo BPM terzo gruppo bancario italiano – ora sotto OPA di UniCredit – ha sempre guardato con interesse al mondo della consulenza finanziaria. BPER – quarto gruppo bancario italiano – ha realizzato la propria rete di CF con forti ambizioni: il nuovo piano industriale prevede il raddoppio dei consulenti finanziari, che rientrano sotto il cappello del wealth management.
A rendere il settore quanto mai dinamico c’è poi l’OPA del Monte dei Paschi – con la rete dei CF di Widiba – su Mediobanca, con la rete di CF di Mediobanca Premier. E ancora il progetto TNB di Azimut che punta a creare la prima rete fintech del settore acquisendo una licenza bancaria.
Insomma banche e reti sembrano unite da un unico destino, è dunque interessante capire cosa può offrire una banca a un consulente finanziario e quale valore aggiunto può portare un consulente a una banca.
Certamente le sinergie tra banche e reti ci sono nel mondo delle imprese, dove entrambi i modelli di servizio puntano a conquistarsi una fetta nella gestione dei proficui eventi di liquidità, ma anche a supportare gli imprenditori nella crescita delle loro imprese con servizi di corporate e investing banking, come pure nel wealth management con club deal e investimenti nei mercati privati.
Il valore aggiunto che i consulenti possono apportare alle banche è legato ad una maggior spinta commerciale che però richiede di una struttura di supporto alla loro attività snella, veloce e flessibile. Insomma la sfida è aperta su più fronti, nei prossimi mesi ne vedremo delle belle e quasi certamente l’industria della consulenza finanziaria post risiko cambierà volto.
Nicola Ronchetti